I REFERENDUM IN MATERIA DI LAVORO DELL'8-9 GIUGNO 2025 - NOSTRE OSSERVAZIONI
IL PRIMO QUESITO- ABROGAZIONE DEL D.LGS. N. 23 del 2015.
Il referendum chiede all’elettore se desidera l'abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti nella sua interezza.
Nella parte più connotante, il provvedimento riguarda il regime sanzionatorio dei licenziamenti nulli o illegittimi. Il regime instaurato dal provvedimento riguardava solo lavoratori assunti dopo il 07.03.2015.
Il provvedimento, come si legge anche nel quesito referendario integrale riportato nella scheda elettorale, è stato oggetto di molteplici interventi modificativi soprattutto ad opera della Corte Costituzionale (sentenza 26 settembre 2018, n. 194, sentenza 24 giugno 2020, n. 150, sentenza 23 gennaio 2024, n. 22, sentenza 4 giugno 2024, n. 128).
A seguito di tali interventi, in particolare quello del 2018, che ha inciso profondamente sull’art. 3 comma 1, la Corte Costituzionale di fatto ha reso la norma che si vuole abrogare più favorevole all’omologa norma dell’art. 18 della legge 300/1970. E’ stato infatti cancellato l’automatismo delle cosiddette “tutele crescenti”, il quale in caso di licenziamento illegittimo tarava la sanzione a carico del datore di lavoro in misura pari a due mensilità per anno di lavoro del licenziato. In pratica il Giudice ora può condannare l’azienda ad un indennizzo fino a 36 mensilità.
Abrogando il provvedimento nella sua interezza cadrebbero anche norme non interessanti i licenziamenti, come l’art. 7, norma favorevole ai lavoratori operanti negli appalti, l’art. 11, norma processuale che ha abolito il deprecato processo “Fornero”, e l’art. 6 che riguarda una vantaggiosa procedura di conciliazione, che se accettata, prevede in favore del lavoratore l’immediata corresponsione di somme esenti da oneri fiscali.
In caso di abrogazione del provvedimento a tutti i lavoratori andrebbe applicato l’art. 18 delle legge 300. Ma occorre precisare che non si tratta dell’art. 18 nella versione originale anni 70, che prevedeva solamente la tutela reintegratoria piena per ogni tipo di licenziamento, compresi il licenziamenti per meri vizi formali.
Detta norma è stata completamente riscritta dalla legge n. 92 del 2012 (c.d. Legge Fornero) la quale ha sostituito gli originali commi da 1 a 6 con igli attuali commi da 1 a 10.
Ne è derivato un sistema sanzionatorio articolato in varie fattispecie. La reintegrazione piena è applicata solo per i casi di licenziamento discriminatorio, maternità, gravidanza, maternità e paternità, motivo illecito determinante e altri casi di nullità, la reintegrazione in forma attenuata solo nel caso di insussistenza del fatto o quando per il fatto rientra nelle sanzioni punibili con una sanzione conservativa.
In tutti gli altri casi di licenziamento per giusta causa o per motivi economici (che sono la maggioranza) anche con l’art. 18, il rapporto di lavoro viene dichiarato risolto e viene determinata una indennità da 12 a 24 mensilità, ridotta da 6 a 12 in caso di vizi formali.
Quindi l’abrogazione del d.lgs n. 23 del 2015 estenderebbe a tutti i lavoratori, anche quelli assunti dopo il 2015, l’applicazione dell’ art. 18 nella versione “Fornero” non molto diversa da quella del Jobs Act del 2015 a seguito degli interventi della Corte Costituzionale che si vuole abrogare.