I REFERENDUM IN MATERIA DI LAVORO DELL'8-9 GIUGNO 2025 - NOSTRE OSSERVAZIONI

Duse Valter • 7 maggio 2025

IL PRIMO QUESITO- ABROGAZIONE DEL D.LGS. N. 23 del 2015.

Il referendum chiede all’elettore se desidera l'abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti  nella sua interezza.

Nella parte più connotante, il provvedimento riguarda il regime sanzionatorio dei licenziamenti nulli o illegittimi. Il regime instaurato dal provvedimento riguardava solo lavoratori assunti dopo il 07.03.2015.

Il provvedimento, come si legge anche nel quesito referendario integrale riportato nella scheda elettorale, è stato oggetto di molteplici interventi modificativi soprattutto ad opera della Corte Costituzionale (sentenza 26 settembre 2018, n. 194, sentenza 24 giugno 2020, n. 150, sentenza 23 gennaio 2024, n. 22, sentenza 4 giugno 2024, n. 128).

A seguito di tali interventi, in particolare quello del 2018, che ha inciso profondamente sull’art. 3 comma 1, la Corte Costituzionale di fatto ha reso la norma che si vuole abrogare più favorevole all’omologa norma dell’art. 18 della legge 300/1970. E’ stato infatti cancellato l’automatismo delle cosiddette “tutele crescenti”, il quale in caso di licenziamento illegittimo tarava la sanzione a carico del datore di lavoro in misura pari a due mensilità per anno di lavoro del licenziato. In pratica il Giudice ora può condannare l’azienda ad un indennizzo fino a 36 mensilità.

Abrogando il provvedimento nella sua interezza cadrebbero anche norme non interessanti i licenziamenti, come l’art. 7, norma favorevole ai lavoratori operanti negli appalti, l’art. 11, norma processuale che ha abolito il deprecato processo “Fornero”, e l’art. 6 che riguarda una vantaggiosa procedura di conciliazione, che se accettata, prevede in favore del lavoratore l’immediata corresponsione di somme esenti da oneri fiscali.

In caso di abrogazione del provvedimento a tutti i lavoratori andrebbe applicato l’art. 18 delle legge 300. Ma occorre precisare che non si tratta dell’art. 18 nella versione originale anni 70, che prevedeva solamente la tutela reintegratoria piena per ogni tipo di licenziamento, compresi il licenziamenti per meri vizi formali.

Detta norma è stata completamente riscritta dalla legge n. 92 del 2012 (c.d. Legge Fornero) la quale ha sostituito gli originali commi da 1 a 6 con igli attuali commi da 1 a 10.

Ne è derivato un sistema sanzionatorio articolato in varie fattispecie. La reintegrazione piena è applicata solo per i casi di licenziamento discriminatorio, maternità, gravidanza, maternità e paternità,  motivo illecito determinante e altri casi di nullità, la reintegrazione in forma attenuata solo nel caso di insussistenza del fatto o quando per il fatto rientra nelle sanzioni punibili con una sanzione conservativa.

In tutti gli altri casi di licenziamento per giusta causa o per motivi economici (che sono la maggioranza) anche con l’art. 18, il rapporto di lavoro viene dichiarato risolto e viene determinata una indennità da 12 a 24 mensilità, ridotta da 6 a 12 in caso di vizi formali.

Quindi l’abrogazione del d.lgs n. 23 del 2015 estenderebbe a tutti i lavoratori, anche quelli assunti dopo il 2015, l’applicazione dell’ art. 18 nella versione “Fornero”  non molto diversa da quella del Jobs Act del 2015 a seguito degli interventi della Corte Costituzionale che si vuole abrogare.


 


Autore: Duse Valter 7 maggio 2025
Il Decreto del Presidente della Repubblica 31/03/2025 ha indetto referendum popolare abrogativo avente la seguente denominazione: «Piccole imprese - Licenziamenti e relativa indennità: Abrogazione parziale» e ha chiamato i cittadini ad esprimere il loro parere sul seguente quesito: «Volete voi l'abrogazione dell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, limitatamente alle parole: “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro.”?» E’ da premettere che in caso di licenziamento illegittimo da parte di una piccola impresa inferiore a 16 dipendenti, detta norma riconosce al lavoratore di norma un’indennità ricompresa da 2,5 e 6 mensilità, giudicata troppo esigua per svolgere funzione deterrente rispetto ai licenziamenti illegittimi, né in grado di garantire un adeguato ristoro al pregiudizio sofferto dal lavoratore In merito al contenuto del suddetto art. 8 oggetto del referendum va ricordato che la Corta Costituzionale con sentenza del 23 giugno-22 luglio 2022 n. 29 sullo speculare art. 9 del Jobs Act (d.lgs 23 del 2015), si era espressa in maniera molto critica rilevando che “ l’esiguo scarto tra il minimo e il massimo dell’indennità previsto dalla legge impedisca di adeguarne l’importo alla specificità di ogni singola vicenda e non sia coerente con i requisiti di adeguatezza e dissuasività”. Il Parlamento non ha accolto l’invito della Corte a legiferare aggiornando la norma, di qui la soluzione di proporre un referendum abrogativo. Avallato da tale autorevole parere della Corte Costituzionale il quesito referendario appare degno di essere seriamente considerato.
Autore: Duse Valter 7 maggio 2025
Il referendum chiede all’elettore se desidera l'abrogazione dell'art. 26, comma 4 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81(testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.” Facciamo un esempio per capire il significato della norma: una società sportiva (committente) affida ad una ditta operante nel settore dell’elettricità (appaltatrice) la manutenzione degli impianti presso il proprio centro sportivo. Un operaio dell’appaltatrice, per difetto di un attrezzo fornitogli dal suo datore di lavoro, subisce una folgorazione mentre effettua un intervento presso il centro sportivo e quindi durante l’attività propria dell’impresa di appalto. Secondo la norma attualmente in vigore sembrerebbe che nel caso di specie nessuna responsabilità possa ravvisarsi in capo alla committente. La Corte di Cassazione però ha stabilito che una responsabilità della società sportiva committente sussisterà: - se non ha elaborato un DUVRI che tenga conto di ogni criticità e non ha proceduto a una coerente promozione di sinergiche attività preventive (Cass. pen., Sez. IV, 26/04/2022, n. 30397); - se non ha appurato se il lavoratore abbia effettivamente le competenze tecniche per eseguire le opere convenute; - se non ha fornito al lavoratore "dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui è destinato ad operare"; - se non ha e predisposto le opportune misure di protezione e prevenzione dei rischi cui lo stesso sarebbe stato esposto in ragione della attività lavorativa da svolgere. Cass. pen., Sez. IV, 20/06/2018, n. 32228 - anche se vi è stata la predisposizione da parte del datore di lavoro committente di misure di prevenzione finalizzate a gestire il rischio interferenziale, che ha origine per il coinvolgimento nella procedura di lavoro di diversi plessi organizzativi, non viene esclusa la necessità a carico del committente di adottare le misure previste per i diversi rischi specifici, a meno che queste non risultino inefficaci e dannose ai fini della sicurezza dell'ambiente di lavoro. Cass-pen-sez-iv-sentenza-07-01-2016-n-18200-rv-266. Si può pertanto osservare che l’interpretazione della attuale norma da parte della Suprema Corte tende ad escludere la responsabilità della Committente solo in assenza di colpa. Ove non dovesse ravvisarsi colpa alcuna in capo alla Committente, coerentemente con i principi generali del nostro ordinamento, non può essere attribuita responsabilità a mero titolo oggettivo per i rischi delle lavorazioni specifiche dell’appaltatrice. Si tratterebbe di una conseguenza sproporzionata per eccesso rispetto agli effettivi poteri di intervento della Committente medesima. In presenza di un comportamento diligente e privo di colpa da parte della Committente, ritengo che nessun giudice di merito potrà discostarsi dalla citata giurisprudenza della Cassazione, anche nel caso la norma fosse abrogata.
Autore: Duse Valter 7 maggio 2025
Nuovo titoloIl referendum chiede all’elettore se desidera l'abrogazione del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, nella parte avente ad oggetto che tratta dei contratti a tempo determinato limitatamente alle seguenti parti: Articolo 19, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “ in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “ in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b-bis)”; comma 1-bis, limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “, in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; Articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,”?». Il quesito se approvato renderebbe il contratto a tempo determinato stipulabile per un periodo di 24 mesi solo nei casi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative ovvero in caso di sostituzione di altri lavoratori che si siano assentati con diritto alla conservazione del posto di lavoro. E’ da dire che il contratto a termine ha una storia di modifiche normative molto frequenti, in quanto si tratta di una materia molto sensibile. Da una parte i datori di lavoro hanno sempre invocato la possibilità di usufruire di flessibilità nel definire il loro organico in rapporto ai cicli produttivi ed economici, dall’altra per i lavoratori il contratto a tempo determinato significa precarietà e disuguaglianza sociale. E’ da osservare che comunque la abroganda legge poneva un termine per l’applicazione della lettera b del comma 1 dell’art. 19, auspicando il raggiungimento di soluzioni affidate alla contrattazione collettiva. Si è mossa nel frattempo la contrattazione collettiva? Per esempio il CCNL metalmeccanici Industria, finora non prevede casi specifici di causali, ma fa appello al solo criterio della stagionalità allargata definendo attività stagionali (oltre a quelle di cui al D.P.R. n. 1525/1963) quelle caratterizzate dalla necessità ricorrente di intensificazione dell’attività lavorativa in determinati e limitati periodi dell’anno. Per i Metalmeccanici l’individuazione della stagionalità così definita nonché la determinazione dei periodi di intensificazione dell’attività produttiva, che non possono in ogni caso superare complessivamente i 6 mesi nell’arco dell’anno solare, sono concordate dalla Direzione aziendale con la R.S.U. e le Organizzazioni sindacali territoriali. Anche il CCNL Terziario adotta una certa cautela sul punto e si riferisce, in primo luogo, solo a casi contingenti legati a periodi in cui notoriamente si concentrano picchi di attività che possono richiedere l’impiego temporaneo di nuove risorse. E’ il caso delle esigenze che sorgono in occasione dei saldi di fine stagione, sia invernali che estivi, ovvero nel corso dello svolgimento di fiere individuate dal calendario fieristico nazionale e internazionale e il periodo delle festività natalizie e pasquali. Anche in questo caso si tratta di proposta limitate. Non è detto che in sede di contrattazione collettiva, nazionale, territoriale o aziendale, vengano adottate causali più soddisfacenti per i lavoratori. Se passerà l’abrogazione potranno crearsi differenti trattamenti per quanto riguarda i vari settori produttivi, vi sarà difficoltà di reperimento delle fonti. Tutto ciò a mio avviso, unitamente alla mancanza di criteri a livello nazionale renderà difficile una tutela del lavoratore a tempo determinato.
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